Annibale Covini Gerolamo

Annibale Covini Gerolamo, 
Pinocchio

Le avventure di
Pinocchio




di Carlo Collodi





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Pinocchio Disney

Capitolo    XX





Liberato dalla prigione,
si avvia per tornare
a casa della Fata;
ma lungo la strada trova
un serpente orribile,
e poi
rimane preso alla tagliuola.



Figuratevi l’allegrezza
di Pinocchio
quando si sentí libero.

Senza stare a dire
che è e che non è,
uscí subito
fuori della città
e riprese la strada,
che doveva ricondurlo
alla Casina della Fata.



A cagione del
tempo piovigginoso,
la strada
era diventata tutta un pantano
e ci si andava
fino a mezza gamba.

Ma il burattino
non se ne dava per inteso.

Tormentato dalla passione
di rivedere il suo babbo
e la sua sorellina
dai capelli turchini,
correva a salti
come un can levriero,
e nel correre
le pillacchere
gli schizzavano
fin sopra il berretto.

Intanto andava dicendo
fra sé e sé:

P. «Quante disgrazie
mi sono accadute...
E me le merito!
perché io
sono un burattino
testardo e piccoso...
e voglio far sempre
tutte le cose
a modo mio,
senza dar retta
a quelli
che mi voglion bene
e che hanno mille volte
piú giudizio di me!...
Ma da questa volta
in là,
faccio proponimento
di cambiar vita
e di diventare
un ragazzo ammodo
e ubbidiente...
Tanto ormai
ho bell’e visto
che i ragazzi,
a essere disubbidienti,
ci scapitano sempre
e non ne infilano
mai una
per il su’ verso.

E il mio babbo
mi avrà aspettato?...

Ce lo troverò
a casa della Fata?

È tanto tempo,
pover’uomo,
che non lo vedo piú,
che mi struggo
di fargli mille carezze
e di finirlo dai baci!

E la Fata
mi perdonerà
la brutta azione
che le ho fatta?...

E pensare
che ho ricevuto da lei
tante attenzioni
e tante cure amorose...

e pensare
che
se oggi
son sempre vivo,
lo debbo a lei!...

Ma si può dare
un ragazzo piú ingrato
e piú senza cuore di me?...»


Nel tempo che diceva cosí,
si fermò tutt’a un tratto
spaventato,
e fece quattro passi indietro.



Che cosa aveva veduto?

Aveva veduto
un grosso Serpente,
disteso
attraverso alla strada,
che aveva la pelle verde,
gli occhi di fuoco
e la coda appuntata,
che gli fumava
come una cappa di camino.

Impossibile immaginarsi
la paura del burattino:
il quale,
allontanatosi
piú di mezzo chilometro,
si mise a sedere
sopra un monticello di sassi,
aspettando
che il Serpente
se ne andasse
una buona volta
per i fatti suoi
e lasciasse libero
il passo della strada.

Aspettò un’ora;
due ore; tre ore:
ma il Serpente
era sempre là,
e,
anche di lontano,
si vedeva il rosseggiare
de’ suoi occhi di fuoco
e la colonna di fumo
che gli usciva
dalla punta della coda.

Allora Pinocchio,
figurandosi di aver coraggio,
si avvicinò
a pochi passi di distanza,
e facendo una vocina dolce,
insinuante e sottile,

disse al Serpente:

P. Scusi,
signor Serpente,
che mi farebbe il piacere
di tirarsi un pochino
da una parte,
tanto da lasciarmi passare?



Fu lo stesso che
dire al muro.
Nessuno si mosse.

Allora riprese
colla solita vocina:

P. Deve sapere,
signor Serpente,
che io vado a casa,
dove c’è il mio babbo
che mi aspetta
e che è tanto tempo
che non lo vedo piú!...

Si contenta dunque
che io seguiti
per la mia strada?


Aspettò
un segno di risposta
a quella dimanda:



ma la risposta non venne:

anzi il Serpente,
che fin allora
pareva arzillo e pieno di vita,
diventò immobile
e quasi irrigidito.

Gli occhi
gli si chiusero
e la coda
gli smesse di fumare.

P. Che sia morto davvero?...



disse Pinocchio,
dandosi una fregatina di mani
dalla gran contentezza;
e senza mettere tempo
in mezzo,
fece l’atto di scavalcarlo,
per passare
dall’altra parte della strada.

Ma non aveva ancora finito
di alzare la gamba,
che il Serpente
si rizzò all’improvviso
come una molla scattata:
e il burattino,
nel tirarsi indietro
spaventato,
inciampò
e cadde per terra.

E per l’appunto
cadde cosí male,
che restò
col capo conficcato
nel fango della strada
e con le gambe ritte
su in aria.

Alla vista
di quel burattino,
che sgambettava a capo fitto
con una velocità incredibile,
il Serpente
fu preso
da una tal convulsione
di risa,

che
ridi, ridi, ridi,

alla fine,
dallo sforzo
del troppo ridere,
gli si strappò
una vena sul petto:
e quella volta
morí davvero.

Allora Pinocchio
ricominciò a correre
per arrivare
a casa della Fata
avanti che si facesse buio.

Ma lungo la strada,
non potendo piú reggere
ai morsi terribili della fame,
saltò in un campo
coll’intenzione di cogliere
poche ciocche
d’uva moscadella.

Non l’avesse mai fatto!

Appena giunto
sotto la vite,
crac...

sentí stringersi le gambe
da due ferri taglienti,
che gli fecero vedere
quante stelle
c’erano in cielo.



Il povero burattino
era rimasto preso
a una tagliuola
appostata là
da alcuni contadini
per beccarvi
alcune grosse faine,
che erano
il flagello
di tutti i pollai
del vicinato.

🌝    🌞    🌟




Le avventure di Pinocchio
di:
CARLO COLLODI
editore:
Felice Paggi,
Firenze, 1883

Dominio Pubblico

Testo originale
accentato da:
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