FA. Bevila,
e in pochi giorni
sarai guarito.
P. È dolce o amara?
FA. È amara,
ma ti farà bene.
P. Se è amara non la voglio.
FA. Da’ retta a me:
bevila.
P. A me l’amaro non mi piace.
FA. Bevila:
e quando l’avrai bevuta,
ti darò
una pallina di zucchero,
per rifarti la bocca.
P. Dov’è la pallina di zucchero?
FA. Eccola qui
P. Prima
voglio la pallina di zucchero,
e poi
beverò quell’acquaccia amara...
FA. Me lo prometti?
P. Sí...
P. Bella cosa
se anche lo zucchero
fosse una medicina!...
Mi purgherei tutti i giorni.
FA. Ora
mantieni la promessa
e bevi queste
poche gocciole d’acqua,
che ti renderanno la salute.
P. È troppo amara!
troppo amara!
Io non la posso bere.
FA. Come fai a dirlo
se non l’hai
nemmeno assaggiata?
P. Me lo figuro!
L’ho sentita all’odore.
Voglio prima
un’altra pallina di zucchero...
e poi la beverò!
P. Cosí non la posso bere!
FA. Perché?
P. Perché mi dà noia
quel guanciale
che ho laggiú
su i piedi.
P. È inutile!
Nemmeno cosí la posso bere.
FA. Che cos’altro
ti dà noia?
P. Mi dà noia
l’uscio di camera,
che è mezzo aperto.
quest’acquaccia amara,
non la voglio bere,
no, no, no!...
FA. Ragazzo mio,
te ne pentirai...
P. Non me n’importa...
FA. La tua malattia
è grave...
P. Non me n’importa...
FA. La febbre
ti porterà
in poche ore
all’altro mondo...
P. Non me n’importa...
FA. Non hai
paura
della morte?
P. Nessuna paura!...
Piuttosto morire,
che bevere
quella medicina cattiva.
P. Che cosa volete
da me?
CN. Siamo venuti
a prenderti
P. A prendermi?...
Ma io
non sono ancora morto!...
CN. Ancora no:
ma ti restano
pochi minuti di vita,
avendo tu
ricusato di bevere
;la medicina,
che ti avrebbe
guarito della febbre!...
P. O Fata mia,
o Fata mia!
datemi subito quel bicchiere...
Spicciatevi,
per carità,
perché non voglio morire,
no...
non voglio morire.
CCNN. Pazienza!
CCNN. Per questa volta
abbiamo fatto il
viaggio
a ufo.
FA. Dunque
la mia medicina
t’ha fatto bene davvero?
P. Altro che bene!
Mi ha rimesso al mondo!...
FA. E allora
come mai
ti sei fatto tanto
pregare a beverla?
P. Egli è
che
noi ragazzi
siamo tutti cosí!
Abbiamo piú paura
delle medicine
che del male.
FA. Vergogna!
I ragazzi
dovrebbero sapere
che un buon medicamento
preso a tempo,
può salvarli
da una grave malattia
e fors’anche dalla morte...
P. Oh!
ma un’altra volta
non mi farò tanto pregare!
Mi rammenterò
di quei conigli neri,
con la bara sulle spalle...
e allora piglierò subito
il bicchiere in mano,
e giú!...
FA. Ora
vieni un po’ qui
da me,
e raccontami
come andò
che ti trovasti
fra le mani degli assassini.
P. Gli andò,
che il burattinaio
Mangiafoco
mi dètte
cinque monete d’oro,
e mi disse:
«To’, portale al tuo babbo!»,
e io,
invece,
per la strada
trovai una Volpe e un Gatto,
due persone molto per bene,
che mi dissero:
«Vuoi che codeste monete
diventino mille e duemila?
Vieni con noi,
e ti condurremo
al Campo dei miracoli».
E io dissi:
«Andiamo»;
e loro dissero:
«Fermiamoci qui
all’osteria del Gambero rosso,
e dopo la mezzanotte
ripartiremo».
E io,
quando mi svegliai,
loro non c’erano piú,
perché erano partiti.
Allora io
cominciai a camminare
di notte,
che era un buio
che pareva impossibile,
per cui trovai per la strada
due assassini
dentro due sacchi da carbone,
che mi dissero:
«Metti fuori i quattrini»;
e io dissi:
«non ce n’ho»;
perché le monete d’oro
me l’ero nascoste in bocca,
e uno degli assassini
si provò a mettermi
le mani in bocca,
e io con un morso
gli staccai la mano
e poi la sputai,
ma invece di una mano
sputai uno zampetto di gatto.
E gli assassini
a corrermi dietro,
e io corri che ti corro,
finché mi raggiunsero,
e mi legarono per il collo
a un albero di questo bosco
col dire:
«Domani torneremo qui,
e allora sarai morto
e colla bocca aperta,
e cosí ti porteremo via
le monete d’oro
che hai nascoste
sotto la lingua».
FA. E ora
le quattro monete
dove le hai messe?
P. Le ho perdute!
FA. E dove le hai perdute?
P. Nel bosco qui vicino.
FA. Se le hai perdute
nel bosco vicino
le cercheremo e le ritroveremo:
perché
tutto quello che si perde
nel vicino bosco,
si ritrova sempre.
P. Ah!
ora che mi rammento bene
le quattro monete
non le ho perdute,
ma senza avvedermene,
le ho inghiottite
mentre bevevo
la vostra medicina.
P. Perché ridete?
FA. Rido
della bugia che hai detto.
P. Come mai sapete
che ho detto una bugia?
FA. Le bugie,
ragazzo mio,
si riconoscono subito,
perché ve ne sono
di due specie:
vi sono le bugie
che hanno le gambe corte,
e le bugie
che hanno il naso lungo:
la tua
per l’appunto
è di quelle
che hanno il naso lungo.
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