Pinocchio,
per non aver dato retta
ai buoni consigli
del Grillo-parlante,
s’imbatte negli assassini.
P. Davvero
disse fra sé
il burattino
rimettendosi in viaggio
come siamo disgraziati noi altri poveri ragazzi! Tutti ci sgridano, tutti ci ammoniscono, tutti ci dànno dei consigli. A lasciarli dire, tutti si metterebbero in capo di essere i nostri babbi e i nostri maestri; tutti: anche i Grilli-parlanti. Ecco qui: perché io non ho voluto dar retta a quell’uggioso di Grillo, chi lo sa quante disgrazie, secondo lui, mi dovrebbero accadere! Dovrei incontrare anche gli assassini! Meno male che agli assassini io non ci credo, né ci ho creduto mai.
Per me gli assassini sono stati inventati apposta dai babbi, per far paura ai ragazzi che vogliono
andar fuori la notte.
E poi se anche li trovassi qui sulla strada, mi darebbero forse
soggezione? Neanche per sogno.
Anderei loro sul viso, gridando: «Signori assassini, che cosa vogliono da me? Si rammentino che con me non si scherza! Se ne vadano dunque per i fatti loro, e zitti!»
A questa parlantina
fatta sul serio,
quei poveri assassini,
mi par di vederli,
scapperebbero via
come il vento.
Caso poi fossero tanto ineducati da non volere scappare, allora scapperei io, e cosí la farei finita...
Ma Pinocchio
non poté finire
il suo ragionamento,
perché in quel punto
gli parve di sentire
dietro di sé
un leggerissimo
fruscío di foglie.
Si voltò a guardare,
e vide
nel buio
due figuracce nere,
tutte imbacuccate
in due sacchi da carbone,
le quali correvano
dietro a lui
a salti
e in punta di piedi,
come se fossero
due fantasmi.
P. Eccoli davvero!
disse dentro di sé:
e non sapendo
dove nascondere
i quattro zecchini,
se li nascose
in bocca
e precisamente
sotto la lingua.
Poi si provò a scappare.
Ma non aveva
ancora fatto il primo passo,
che sentí agguantarsi
per le braccia
e intese
due voci
orribili e cavernose,
che gli dissero:
VO. O la borsa o la vita!
Pinocchio
non potendo rispondere
con le parole,
a motivo delle monete
che aveva in bocca,
fece mille salamelecchi
e mille pantomime,
per dare ad intendere
a quei due incappati,
di cui si vedevano
soltanto gli occhi attraverso
i buchi dei sacchi,
che lui era
un povero burattino
e che non aveva in tasca
nemmeno un centesimo falso.
VO. Via, via! Meno ciarle e fuori i denari!
gridarono minacciosamente
i due briganti.
E il burattino
fece col capo
e colle mani
un segno,
come dire:
«Non ne ho».
VO. Metti fuori i denari o sei morto
disse l’assassino
piú alto di statura.
GA. Morto! ripeté l’altro.
VO. E dopo ammazzato te, ammazzeremo anche tuo padre! GA. Anche tuo padre! P. No, no, no, il mio povero babbo no!
gridò Pinocchio
con accento disperato:
ma nel gridare cosí,
gli zecchini
gli sonarono in bocca.
VO. Ah furfante! dunque i danari te li sei nascosti sotto la lingua? Sputali subito!
E Pinocchio,
duro!
VO. Ah! tu fai il sordo? Aspetta un po’, ché penseremo noi a farteli sputare!
Difatti
uno di loro
afferrò il burattino
per la punta del naso
e quell’altro
lo prese per la bazza,
e lí cominciarono
a tirare screanzatamente
uno per in qua
e l’altro per in là,
tanto da costringerlo
a spalancare la bocca:
ma non ci fu verso.
La bocca del burattino
pareva inchiodata e ribadita.
Allora
l’assassino
piú piccolo di statura,
cavato fuori
un coltellaccio,
provò a conficcarglielo
a guisa di leva e di scalpello
fra le labbra:
ma Pinocchio,
lesto come un lampo,
gli azzannò
la mano
coi denti,
e dopo avergliela
con un morso
staccata di netto,
la sputò;
e figuratevi
la sua meraviglia
quando,
invece di una mano,
si accòrse
di avere sputato in terra
uno zampetto di gatto.
Incoraggito
da questa prima vittoria,
si liberò
a forza
dalle unghie degli assassini,
e saltata
la siepe della strada,
cominciò a fuggire
per la campagna.
E gli assassini
a correre dietro a lui,
come due cani
dietro una lepre:
e quello
che aveva perduto
uno zampetto
correva con una gamba sola,
né si è saputo mai
come facesse.
Dopo una corsa di
quindici chilometri,
Pinocchio
non ne poteva piú.
Allora,
vistosi perso,
si arrampicò
su per il fusto
di un altissimo pino
e si pose a sedere
in vetta ai rami.
Gli assassini tentarono
di arrampicarsi anche loro,
ma giunti a metà del fusto
sdrucciolarono e,
ricascando a terra,
si spellarono
le mani e i piedi.
Non per questo
si dettero per vinti:
ché anzi,
raccolto
un fastello
di legna secche
a piè del pino,
vi appiccarono il fuoco.
In men che non si dice,
il pino
cominciò a bruciare
e a divampare
come una candela
agitata dal vento.
Pinocchio,
vedendo che le fiamme
salivano sempre piú
e non volendo far
la fine del piccione arrosto,
spiccò
un bel salto
di vetta all’albero,
e via
a correre daccapo attraverso
ai campi e ai vigneti.
E gli assassini dietro,
sempre dietro,
senza stancarsi mai.
Intanto cominciava
a baluginare il giorno
e si rincorrevano sempre;
quand’ecco che
Pinocchio
si trovò improvvisamente
sbarrato il passo
da un fosso largo
e profondissimo,
tutto pieno
di acquaccia sudicia,
color del caffè e latte.
Che fare?
«Una, due, tre!»
gridò il burattino,
e slanciandosi
con una gran rincorsa,
saltò dall’altra parte.
E gli assassini
saltarono anche loro,
ma non avendo preso bene
la misura,
patatunfete!...
cascarono giú
nel bel mezzo del fosso.
Pinocchio
che sentí il tonfo
e gli schizzi dell’acqua,
urlò ridendo
e seguitando a correre:
P. Buon bagno, signori assassini!
E già
si figurava
che fossero bell’e affogati,
quando invece,
voltandosi a guardare,
si accòrse
che gli correvano dietro
tutti e due,
sempre imbacuccati
nei loro sacchi,
e grondanti acqua
come due panieri sfondati.
🌝 🌞 🌟
Le avventure di Pinocchio
di:
CARLO COLLODI
editore:
Felice Paggi,
Firenze, 1883