MA. Come si chiama
tuo padre?
P. Geppetto.
MA. E che mestiere fa?
P. Il povero.
MA. Guadagna molto?
P. Guadagna tanto
quanto ci vuole
per non aver mai
un centesimo in tasca.
Si figuri che
per comprarmi l’Abbecedario
della scuola
dové vendere
l’unica casacca
che aveva addosso:
una casacca che,
; fra toppe e rimendi,
era tutta una piaga.
MA. Povero diavolo!
Mi fa quasi compassione.
Ecco qui
cinque monete d’oro.
Va’ subito a portargliele
e salutalo tanto
da parte mia.
VO. Buon giorno,
Pinocchio
P. Com’è che
sai il mio nome?
VO. Conosco bene
il tuo babbo.
P. Dove l’hai veduto?
VO. L’ho veduto
ieri
sulla porta di casa sua.
P. E che cosa faceva?
VO. Era
in maniche di camicia
e tremava dal freddo.
P. Povero babbo!
Ma,
se Dio vuole,
da oggi in poi
non tremerà piú!...
VO. Perché?
P. Perché io
sono diventato
un gran signore.
VO. Un gran signore tu?
P. C’è poco da ridere
gridò Pinocchio
impermalito.
Mi dispiace davvero
di farvi venire
l’acquolina in bocca,
ma queste qui,
se ve ne intendete,
sono
cinque
bellissime
monete d’oro.
VO. E ora
che cosa vuoi farne
di codeste monete?
P. Prima di tutto
voglio comprare
per il mio babbo
una bella casacca nuova,
tutta d’oro e d’argento
e
coi bottoni di brillanti:
e poi
voglio comprare
un Abbecedario
per me.
VO. Per te?
P. Davvero:
perché
voglio andare a scuola
e mettermi a studiare
a buono.
VO. Guarda me!
Per la passione
sciocca
di studiare
ho perduto una gamba.
GA. Guarda me!
Per la passione sciocca
di studiare
ho perduto la vista
di tutti e due gli occhi.
ME. Pinocchio,
non dar retta
ai consigli
dei cattivi compagni:
se no,
te ne pentirai!
P. Povero Merlo!
P. perché l’hai trattato
cosí male?
GA. Ho fatto
per dargli una lezione.
Cosí
un’altra volta
imparerà
a non metter bocca
nei discorsi degli altri.
VO. Vuoi raddoppiare
le tue monete d’oro?
P. Cioè?
VO. Vuoi tu,
di cinque miserabili zecchini,
farne cento,
mille,
duemila?
P. Magari! e la maniera?
VO. La maniera
è facilissima.
Invece
di tornartene a casa tua,
dovresti
venir con noi.
P. E dove
mi volete condurre?
VO. Nel paese
dei Barbagianni.
P. No,
non ci voglio venire.
Oramai sono vicino a casa,
e voglio
; andarmene a casa,
dove c’è il mio babbo
che m’aspetta.
Chi lo sa,
povero vecchio,
quanto ha sospirato ieri,
a non vedermi tornare.
Pur troppo
io
sono stato
un figliolo cattivo,
e il Grillo-parlante
aveva ragione
quando diceva:
«i ragazzi disobbedienti
non possono aver bene
in questo mondo».
E io
l’ho provato
a mie spese,
perché
mi sono capitate
di molte disgrazie,
e anche ieri sera
in casa di Mangiafoco,
ho corso pericolo...
Brrr!
mi viene i bordoni
soltanto a pensarci!
VO. Dunque
vuoi proprio
andare a casa tua?
Allora va’ pure,
e
tanto peggio per te.
GA. Tanto peggio per te!
VO. Pensaci bene,
Pinocchio,
perché tu
dai un calcio
alla fortuna.
GA. Alla fortuna!
VO. I tuoi cinque zecchini,
dall’oggi al domani
sarebbero diventati
duemila.
GA. Duemila!
P. Ma com’è mai possibile
che diventino tanti?
domandò Pinocchio,
restando
a bocca aperta
dallo stupore.
VO. Te lo spiego subito
P. se io sotterrassi
in quel campo
i miei cinque zecchini,
la mattina dopo
quanti zecchini ci troverei?
VO. È un conto facilissimo
un conto
che puoi farlo
sulla punta delle dita.
Poni che ogni zecchino
ti faccia
un grappolo
di cinquecento zecchini:
moltiplica
il cinquecento
per cinque,
e la mattina dopo
ti trovi in tasca
duemilacinquecento zecchini
lampanti e sonanti.
P. Oh che bella cosa!
P. Appena che
questi zecchini
li avrò raccolti,
ne prenderò per me
duemila e gli altri
cinquecento di piú
li darò in regalo
a voialtri due.
VO. Un regalo a noi?
VO. Dio
te ne liberi!
GA. Te ne liberi!
VO. Noi
non lavoriamo
per il vile interesse:
noi lavoriamo
unicamente
per arricchire
gli altri.
P. Gli altri!
P. Che brave persone!
P. Andiamo subito,
io vengo con voi.
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